La Regione Campania, attraverso la recente modifica della legge regionale sulla gestione dei rifiuti (L.R. 7 agosto 2023 n. 19), sembra aprire la strada a un meccanismo controverso: obbligare i Comuni a comprare quote di società in house già esistenti, come la Miramare Service nella Costiera Amalfitana. Questa decisione solleva seri interrogativi di natura giuridica, economica e amministrativa, che potrebbero avere ripercussioni a livello costituzionale, europeo e di governance locale.
L’articolo 114 della Costituzione Italiana sancisce che i Comuni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni. L’imposizione da parte della Regione di acquistare quote di una società in house già esistente potrebbe cozzare con questo principio di autonomia, mettendo i Comuni nella condizione di accollarsi debiti o impegni finanziari non deliberati autonomamente.
Inoltre, l’articolo 119 della Costituzione garantisce agli enti locali autonomia finanziaria, inclusa la possibilità di determinare le proprie spese. Qualora la Regione Campania esercitasse poteri sostitutivi per obbligare un Comune a comprare quote di una società già operativa, si potrebbe sollevare la questione di legittimità costituzionale.
In sede giudiziaria, un giudice amministrativo potrebbe rinviare il caso alla Corte Costituzionale per valutare se tale coercizione rispetta i principi fondamentali della Carta.
Un Comune che si trovasse obbligato a comprare quote di una società già operativa, come la Miramare Service, potrebbe dover assumersi eventuali debiti pregressi o vincoli contrattuali non preventivamente valutati. Questo tipo di coercizione sembra cozzare con i principi di autonomia gestionale sanciti dalla Costituzione e potrebbe spingere i giudici amministrativi a sollevare la questione davanti alla Corte Costituzionale.
Nel caso della Miramare Service, che gestisce non solo rifiuti ma anche altri servizi come il verde pubblico e la manutenzione, potrebbe sorgere un problema di compatibilità con la normativa nazionale ed europea che disciplina la specializzazione delle società in house. Le regole europee e nazionali richiedono che le società in house siano strettamente specializzate nel settore per cui ricevono affidamenti diretti, e ogni attività accessoria deve rispettare rigidi vincoli di marginalità rispetto al fatturato complessivo. L’attuale modello della Miramare, con una pluralità di attività gestite per i Comuni soci, rischia di violare questi principi, creando un precedente pericoloso e potenzialmente contestabile.
Le società in house devono rispettare precise regole per operare senza gara pubblica, come stabilito dalla Direttiva 2014/24/UE e dal Testo Unico delle Società Partecipate (TUSP, D. Lgs. 175/2016). Tra queste:
- Il vincolo dell’80% del fatturato: Almeno l’80% del fatturato della società deve derivare da servizi resi agli enti controllanti, per garantire che la società non operi come soggetto commerciale in concorrenza sul mercato.
- Il limite del 20% per attività verso terzi: Le attività esterne devono rimanere marginali e non devono distorcere la concorrenza.
Inoltre la Miramare è vero che negli ultimi periodi ha acquisito alcune certificazioni ISO (come si legge dal comunicato stampa) in merito all’aspetto gestionale, forse propedeutico poi all’affidamento da parte dell’EDA, ma questo non significa avere certificazioni in merito all’aspetto finanziario ed economico che si potrebbe avere solo attraverso una duo-diligence e che potrebbe aprire a questo punto forse e diciamo forse anche a rilievi contabili e addirittura penali secondo i ben informati.
Nel caso della Miramare Service, il problema è duplice. Attualmente, la società presta servizi esclusivamente ai Comuni soci, non svolgendo attività verso l’esterno. Tuttavia, alcuni Comuni vorrebbero includere nei volumi del 20% i servizi diversi dalla gestione dei rifiuti, come la manutenzione del verde pubblico o i servizi cimiteriali. Questo non è ammissibile: anche se tali servizi sono "diversi", sono comunque svolti per i Comuni soci e non verso soggetti esterni. Tale interpretazione violerebbe lo spirito del TUSP e della normativa europea, che considerano come "attività verso terzi" solo quelle effettivamente rivolte a soggetti non controllanti. Se si forzasse questa interpretazione, la società potrebbe perdere la qualificazione come in house, rendendo necessaria una gara pubblica per l’assegnazione dei servizi.
Inoltre, la Commissione Europea potrebbe intervenire per verificare eventuali distorsioni della concorrenza o violazioni delle norme sugli aiuti di Stato. Dietro l’insistenza di alcuni sindaci per affidare il servizio di gestione dei rifiuti alla Miramare Service si cela un risvolto politico significativo.
Viene spesso sostenuto che la società in house rappresenti un baluardo contro l’ingerenza della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti. Tuttavia, questa argomentazione appare facilmente smontabile: sostenere che tutte le ditte private siano collegate alla malavita equivale a mettere in discussione l’intero sistema di gestione dei rifiuti nella regione, compresi i Comuni che da anni si affidano a società private senza problemi. Il vero motivo potrebbe essere un altro: la nuova società in house che gestirà i rifiuti nella Costiera Amalfitana avrà oltre 170 dipendenti. Questo significa una grande influenza politica su altrettante famiglie, un potenziale bacino elettorale che fa gola ai politici locali. La pressione per far convergere tutti i Comuni verso una società già esistente potrebbe quindi nascondere interessi politici più che amministrativi.
Un altro soggetto che potrebbe entrare in gioco è l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), che ha il compito di vigilare sulla corretta applicazione delle normative relative alle società in house. In particolare, l’ANAC potrebbe verificare:
- Se la Miramare Service rispetta i criteri di specializzazione richiesti dalla normativa.
- Se l’acquisizione forzata delle quote da parte dei Comuni è compatibile con i principi di trasparenza e buona amministrazione.
L’imposizione della Regione rischierebbe di contravvenire al principio di proporzionalità e di trasparenza nella gestione degli enti partecipati, aprendo la strada a possibili contestazioni anche da parte dell’ANAC.
Un altro punto critico è il controllo sulla governance delle società in house. Nel caso di società già esistenti, come la Miramare Service, la normativa regionale non prevede l’approvazione dello statuto da parte dell’EDA, mentre per le nuove società questa verifica è obbligatoria. Questa disparità di trattamento è discutibile: non garantisce trasparenza e non offre ai Comuni strumenti per valutare la solidità giuridica e finanziaria della società di cui sarebbero costretti a diventare soci. L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), incaricata di vigilare sulla trasparenza delle società in house, potrebbe contestare tale procedura, evidenziando la mancanza di uniformità nei controlli e i rischi legati all’ingresso forzato di nuovi soci in società con statuti non rivisti né approvati dall’EDA.
Acquistare quote di una società già operativa come la Miramare Service significherebbe, per i Comuni, accollarsi eventuali perdite o debiti pregressi. In un contesto di autonomia finanziaria, questa imposizione potrebbe essere contestata non solo dai Comuni interessati, ma anche dagli organi di controllo statali ed europei. Inoltre, qualora una società in house violasse i requisiti di specializzazione e trasparenza, il rischio ricadrebbe su tutti i soci, compromettendo la sostenibilità economica della gestione dei rifiuti.
L’obbligo di acquistare quote di una società già operativa come la Miramare Service apre una serie di interrogativi:
- È compatibile con l’autonomia garantita ai Comuni dalla Costituzione Italiana?
- Rispetta i vincoli europei in materia di concorrenza e aiuti di Stato?
- Garantisce trasparenza e proporzionalità, o espone i Comuni a rischi finanziari non calcolati?
Un’alternativa sarebbe la costituzione ex novo di una società in house, dedicata esclusivamente alla gestione dei rifiuti. Questo approccio garantirebbe:
- L’assenza di debiti o crediti pregressi, riducendo i rischi finanziari per i Comuni.
- La specializzazione esclusiva nel settore dei rifiuti, rispettando i requisiti di trasparenza e sostenibilità richiesti dal TUSP e dalla normativa europea.
- La possibilità per i Comuni di definire e approvare lo statuto della società, evitando il rischio di entrare in una governance già definita da altri.
La scelta di imporre ai Comuni l’acquisto di quote di una società in house già esistente appare non solo forzata, ma potenzialmente rischiosa dal punto di vista giuridico, amministrativo ed economico.
La Regione Campania e l’EDA dovrebbero considerare seriamente le implicazioni di una tale decisione, che potrebbe esporre la normativa regionale a contestazioni di legittimità costituzionale che potrebbe essere sollevata da qualsiasi giudice e in qualsiasi sede e a procedimenti per violazione delle norme europee. Naturalmente le ditte private non aspettano altro.
La vera domanda è: perché optare per una strada così controversa, quando sarebbe più semplice e trasparente costituire una nuova società, senza debiti pregressi, e garantire una gestione realmente partecipata e conforme ai principi di autonomia e legalità?
