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ASCCCA: il risveglio tardivo e il peccato originale di un atto mai nato davvero
C’è voluto quasi un anno, ma finalmente qualcuno si è svegliato. Dopo mesi di silenzi, anche le minoranze cominciano a chiedere chiarezza sull’Azienda Speciale Consortile Cava–Costa d’Amalfi. Le minoranze a Cava e Vietri parlano, interrogano, mettono in dubbio: sembra che la nebbia, lentamente, si stia diradando.
Eppure, il problema non è nuovo. Il cosiddetto “peccato originale” dell’ASCCCA è scritto nero su bianco: un atto costitutivo firmato senza che il notaio verificasse la conformità con le delibere dei Consigli comunali. Alcuni Comuni, come Atrani, avevano deliberato testi diversi da quelli portati in firma. E senza quell’allineamento di tutti i Comuni, lo dicono legge e Corte dei conti, l’Azienda di fatto non esiste giuridicamente. È iscritta alla Camera di Commercio, sì — ma come un quadro mai incorniciato: c’è il nome, manca la sostanza.
Il Comune di Atrani, l’unico ad aver sospeso la propria delibera dopo il parere della Corte dei conti e la nota della Regione Campania, ha mostrato l’unica rotta di buon senso: fermarsi, controllare, ricostruire. Gli altri, invece, sembrano voler tirare dritto, con una “forzatura” annunciata per il 11 novembre, data in cui si vorrebbero firmare modifiche antecedenti al parere della Corte. Una corsa in avanti che rischia di trasformarsi in un salto nel vuoto.
Il rischio è enorme. Con un’Azienda non perfezionata, ma una parte dei Comuni pronti a procedere, Cava de’ Tirreni potrebbe sentirsi legittimata a sospendere il Piano di Zona. Ma se il Piano si ferma e l’Azienda non è ancora attiva, i servizi sociali restano senza copertura. Significa lasciare senza assistenza minori, disabili, anziani, famiglie fragili. E questo non è più un errore politico: è una potenziale responsabilità penale e civile per interruzione di pubblico servizio e danni sociali.
Il tutto nasce da un errore tecnico e da una fretta politica che ha trascinato nel caos un intero Ambito territoriale. Il notaio, in questo scenario, è il perno silenzioso della storia: doveva verificare, non ha verificato: sarà stata fretta politica?!
Ora, la sua posizione potrebbe essere oggetto di segnalazioni e gli addetti giurano che, se le cose non verranno fatte bene e in tranquillità, si potrà procederà a segnalare il tutto — alla Camera di Commercio, al Ministero della Giustizia (per gli atti sbagliati in sede di rogito da parte del notaio), al MEF (per la parte relativa alle partecipate pubbliche), all’ANAC (per i profili di trasparenza e anticorruzione) e perfino alla Procura della Repubblica (per falso ideologico?) e quanto ravvisabile in sede di rogito.
La Regione in questo gioca un ruolo fondamentale, perché l’ASCCCA dopo aver messo le carte a posto dovrà chiedere l’attivazione del servizio agli organi regionali, che dopo tutto questo papocchio, in pochi credono che attiverà l’ASCCCA per i servizi sociali senza la firma di tutti i Comuni e con il suo parere contrario sulla nomina del direttore e quello della Corte.
Se la “forzatura dell’11 Novembre” andrà avanti, non si rischia solo il blocco dei servizi, ma anche un effetto domino di diffide, ricorsi e richieste di risarcimento danni. E quando i danni toccano la sfera sociale, la salute e la dignità delle persone, il conto da pagare — morale e giudiziario — diventa pesante.
Nel frattempo, Atrani resta ferma, coerente e serena. Non per ostacolare, ma per ricordare a tutti che la legge non è un optional, e che a volte un piccolo Comune può insegnare ai grandi il valore della prudenza e della legalità. C’è chi ha parlato di “sospensioni” come di atti di freno politico. In realtà, la sospensione deliberata da uno dei piccoli Comuni dell’Ambito non riguarda l’Azienda in sé, ma il potere del suo Sindaco di firmare una ratifica che oggi sarebbe illegittima. È una sospensione di responsabilità, non di partecipazione. Un atto che, paradossalmente, mette in sicurezza l’Ente rispetto a errori che altri Comuni hanno già commesso
Le minoranze in questo momento giocano un ruolo cardine perchè potrebbero chiedere di portare nei rispettivi consigli il parere della Corte dei Conti e segnalare la questione al segretario comunale e ai responsabili di settore.
Bisognerebbe quasi ringraziare quell’errore originario — la mancata conformità tra le delibere consiliari e l’atto costitutivo firmato davanti al notaio — perché proprio da lì nasce la prova che almeno un Comune ha scelto la via della prudenza, del metodo e della trasparenza, adottando un atto ufficiale dopo il parere della Corte dei Conti.
Gli altri, invece, dovrebbero seguire la stessa strada: sospendere, verificare e correggere. Anche perché — e qui la questione si fa seria — chi continua a firmare e ad approvare nonostante il parere della Corte dei conti, lo fa assumendosi in pieno le proprie responsabilità. Alla fine, a rispondere saranno i tecnici, che non potranno dire di non sapere: gli atti sono pubblici, le criticità note, nero su bianco e l’inerzia dei tecnici per — il non aver avvertito i propri sindaci o segnalato le incongruenze — costituisce essa stessa una forma di responsabilità.